Uno straniero in Italia, all’inizio, quando sente parlare della CGIL, da certi personaggi, pensa: “Wow, che grande sindacato, questo! Si occupa dei diritti dei lavoratori e degli stranieri.”
Anche perché, in Italia, la mentalità è un mix di capitalismo, mafiosità e ovviamente comunismo: se sei straniero e lavori in agricoltura, sicuramente troverai il contadino che si lamenta del governo, ma non del fatto che fa fatica a metterti in busta paga tutte le ore – anche quelle poche che hai fatto. Oppure potresti lavorare in una casa di “riposo” che magari si lamenta della mancanza di personale, nonostante ci sia un’inflazione di infermieri, OSS e badanti. E chissà come mai non trovano nessuno… saranno gli stipendi? I turni massacranti? Chi può dirlo. Tanto nemmeno i sindacati te lo diranno, se per caso orbitano nella stessa galassia politica.
Siamo partiti dagli agricoltori, anche perché tra la Chiesa e le cooperative del PD, loro sono i più interessati ad avere manodopera a basso costo e meno tutelata. Quindi, se vedi in giro un pakistano, proveniente da qualche cooperativa di accoglienza, che lavora su una macchina di patate e cipolle senza un minimo di protezione dal sole, non ti preoccupare: è il modo con cui vengono “protetti” i lavoratori da questi tipi di sindacati, perché non vedrai mai in giro qualche sindacalista urlante e parlante come Landini a lamentarsi di quelle condizioni di lavoro.
Da una parte, allo straniero — attraverso vie sorosiste — gli si dice: “Ah, guarda, vieni in Italia, c’è bisogno, perché gli italiani non vogliono più fare certi lavori”; ma dall’altra parte la verità è che costantemente i diritti dei lavoratori si sono persi, e in agricoltura sono quasi inesistenti. Salvo quando succede qualcosa di grave, e allora di mezzo ci sarà qualche avvoltoio azzeccagarbugli in cerca di una parcella. Tanto, con una giustizia come quella italiana e i suoi tempi biblici, uno straniero morto o ferito sul posto di lavoro non conta.
Quello che conta in Italia è solo l’apparenza, e non a caso la maggior parte delle cause riguarda la cosiddetta “diffamazione”: in questo Paese, non puoi nemmeno dire “ladro” a un ladro, o “sfruttatore” a uno sfruttatore, che si tratti di qualsiasi contesto o settore. Se dici la verità, rischi di finire sotto processo. Ed è proprio lì che ti scontri con quel mix di mentalità di cui parlavamo prima. Perché qui non conta ciò che è vero, ma ciò che conviene nascondere.
Con questo referendum, agli italiani è passato un proiettile vicino all’orecchio. Non si sa se a salvarli sia stata l’incapacità dell’italiano — che, ricordiamolo, uno su sei è analfabeta funzionale e che non aveva capito nemmeno l’importanza di un altro referendum, quello sulla giustizia — o se finalmente qualcuno ha aperto gli occhi. Magari hanno capito che sindacati come la CGIL non sono più strumenti di tutela dei lavoratori, ma paraventi politici del PD, usati per fare propaganda travestita da difesa sociale. Basta ricordare come, durante il pandemonio, hanno sostenuto licenziamenti, sospensioni e discriminazioni ai danni degli stessi lavoratori che dovrebbero rappresentare. La verità è che la CGIL condivide e promuove l’agenda del Partito Democratico, che punta da anni a smantellare l’identità e i diritti del popolo italiano. Più che un sindacato, ci sembra una sezione operativa del PD, camuffata da paladina dei diritti dei lavoratori. Con questo referendum, il suo bluff stava per andare a segno. Per fortuna, niente quorum.