Il grave attentato contro Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, ci ha scosso profondamente, soprattutto noi che facciamo fatica a restare in piedi nel mondo del giornalismo italiano, tra precarietà, minacce e silenzi imposti. Una bomba è esplosa nella notte sotto l’auto del giornalista, parcheggiata vicino alla sua abitazione. Fortunatamente non si registrano feriti, ma l’episodio rappresenta un chiaro segnale di minaccia verso il giornalismo d’inchiesta. Il presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, ha definito l’accaduto “un inquietante salto di qualità degli attacchi contro il giornalismo d’inchiesta e la libertà di informazione”.
“Dopo gli insulti, le accuse di faziosità, le campagne di diffamazione e le aggressioni in piazza, adesso si alza il tiro: come ai tempi di Cosa Nostra, come ai tempi delle Brigate Rosse. Chi non china la testa viene colpito”, ha dichiarato Bartoli.
Il presidente ha espresso solidarietà e vicinanza a Ranucci, alla sua famiglia e alla redazione di Report, ribadendo che il Consiglio nazionale dell’Ordine “intraprenderà ogni azione necessaria per denunciare minacce, violenze e intimidazioni, e per contrastare questo clima di caccia al giornalismo che rischia di riportarci agli anni più bui della Repubblica”. Bartoli ha inoltre sottolineato la necessità di rafforzare le misure di protezione per i giornalisti impegnati in inchieste delicate:
“C’è una parte delle istituzioni che protegge il giornalismo, mentre un’altra fomenta irresponsabilmente l’odio. È un attacco concentrico all’autonomia dei giornalisti e un pericolo per la democrazia stessa.”
L’attentato a Ranucci segna un momento di grave tensione per la libertà di stampa in Italia. Le autorità competenti stanno indagando sull’accaduto, mentre dal mondo dell’informazione e della politica arrivano numerosi messaggi di sostegno e richieste di verità.
Hanno provato a fermarlo con le querele, e non ci sono riusciti. Ora hanno alzato l’asticella, ma un dettaglio che colpisce è che, nel suo commento, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Bartoli non ha fatto cenno proprio a questo: alle querele per diffamazione, diventate ormai una pratica abituale dei politici di quattro soldi e i loro bastardi per intimidire e zittire chi fa informazione scomoda in Italia.