La Corte di Giustizia Europea ha stabilito oggi, 18 novembre 2020, che dopo la scadenza del congedo legale di maternità, uno Stato membro può riservare alla madre del bambino un congedo supplementare qualora quest’ultimo le sia conferito non nella sua qualità di genitore, ma con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità. Infatti, tale congedo supplementare deve essere inteso a garantire la protezione della condizione biologica della donna nonché delle particolari relazioni che essa ha con suo figlio durante il periodo successivo al parto.
La Corte ha sottolineato, poi, che un contratto collettivo che esclude dal beneficio di tale congedo supplementare un lavoratore di sesso maschile che si prende cura in prima persona di suo figlio comporta una differenza di trattamento tra i lavoratori di sesso maschile e i lavoratori di sesso femminile. Tale differenza di trattamento risulta compatibile con la direttiva «principio di parità tra uomini e donne» solo se è diretta a tutelare la madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità, vale a dire se è intesa a garantire la protezione della condizione biologica della donna nonché delle particolari relazioni che
quest’ultima ha con il proprio figlio durante il periodo successivo al parto. Pertanto, qualora il contratto collettivo si applicasse alle donne nella loro sola qualità di genitore, tale articolo introdurrebbe una discriminazione diretta nei confronti dei lavoratori di sesso maschile.
La Corte ha aggiungto che un congedo che interviene al termine del congedo legale di maternità potrebbe essere considerato come parte integrante di un congedo di maternità di maggiore durata e più favorevole alle lavoratrici rispetto alla durata del congedo legale di maternità. Tuttavia, la possibilità di istituire un congedo riservato alle madri dopo il termine del congedo legale di maternità è subordinata alla condizione che esso riguardi a sua volta la protezione delle donne. Di conseguenza, il solo fatto che un congedo segua immediatamente il congedo legale di maternità non è sufficiente per ritenere che esso possa essere riservato alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio.
Il giudice nazionale deve verificare, in concreto, se il congedo previsto sia diretto, sostanzialmente, a tutelare la madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità. La Corte hA sottolineato, che la durata del congedo previsto dal contratto collettivo può essere molto variabile, da un mese e mezzo fino a due anni e tre mesi. Tale durata può essere quindi notevolmente superiore a quella del congedo legale di maternità, di 16 settimane, previsto dal codice del lavoro e tale congedo, qualora se ne fruisca per una durata di uno o di due anni, è «senza retribuzione», il che non sembra garantire il mantenimento di una retribuzione e/o il beneficio di una prestazione adeguata per la lavoratrice, condizione richiesta dalla direttiva per il
congedo di maternità.