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Il Doppio Rosso: come la sinistra usa la somiglianza per sabotare la Meloni

Di questi tempi, la politica italiana non è più solo una questione di idee e programmi, ma di specchi e illusioni. Immaginate di avere un avversario troppo forte da attaccare di petto, invece di sfidarlo apertamente, create un “sosia”, un clone, insomma qualcuno che gli somiglia fisicamente o, ancor di più, caratterialmente per confondere l’elettorato, spostare emozioni e rubare consensi.

Gli esperti la chiamano “Doppelgänger Politics”, o politica del sosia, del clone: una manipolazione psicologica che sfrutta bias cognitivi come l’effetto alone inverso, dove la somiglianza crea associazioni automatiche nel pubblico, trasferendo giudizi da un politico all’altro senza bisogno di scontri diretti.È una tecnica madre della “Political Mirroring”, la specchiatura politica, usata per attirare lo stesso tipo di elettori – donne, madri, figure forti e determinate – e sottrarre terreno all’originale. Non si attacca l’avversario, si crea un clone controllato dal proprio schieramento per neutralizzarlo o ridicolizzarlo. E per chi vuole vedere abbiamo un esempio nel confronto tra la sindaca di Genova Silvia Salis e la premier Giorgia Meloni.Guardiamo i fatti. Silvia Salis, ex campionessa olimpica di lancio del martello, è stata eletta sindaca di Genova a maggio 2025 con il 52% dei voti, sconfiggendo il candidato della coalizione di destra guidata da Meloni e interrompendo otto anni di governo conservatore nella città portuale.

Una vittoria basata su questa tecnica Salis è stata presentata come una figura “forte, determinata, madre e cattolica”, eco diretta del celebre slogan di Meloni “Sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Non a caso, in interviste e discorsi, Salis ha parafrasato proprio quelle parole: “Sono una madre, sono cattolica, sono una moglie”, facendone il verso in modo esplicito e ironico.La imitazione è casuale?  No, è una mossa calcolata per specchiare l’immagine di Meloni e attirare elettori moderati, donne e famiglie che ammirano lo stile assertivo della premier, dalla sinistra la Salis è vista come “l’antidoto” a Meloni, una rivale che ne ricalca i tratti.

Questa strategia non è innocua, sfrutta l’effetto alone inverso, l’elettore è ingannato di vedere una certa somiglianza non solo fisica, ma anche caratteriale, in questo caso e se non è attento alla manipolazione della sinistra trasferisce le sue percezioni positive da Meloni a Salis creando confusione. Il centrosinistra, ha scelto di non lottare apertamente con la premier, ma di lanciare un “clone” per sottrarle il pubblico femminile e moderato, senza esporsi a controffensive dirette ed ecco che a Genova, la Meloni ha perso terreno, mentre ora Salis è dipinta come la “nuova eroina” dell’opposizione, pronta a scalare Palazzo Chigi.
Questo tipo di manipolazione è un’eredità diretta della “specchiatura politica” comunista, una strategia di manipolazione simbolica codificata nei manuali del Comintern e affinata nei fronti popolari degli anni ’30. In Italia, il Partito Comunista Italiano (PCI), fondato a Livorno nel 1921 come sezione dell’Internazionale Comunista, ne fu maestro. Durante il fascismo, i comunisti non potevano attaccare apertamente Mussolini; così, infiltrarono e specchiarono: crearono “sosia” ideologici nei sindacati e nei movimenti operai, parafrasando la retorica fascista sul “lavoro nazionale” per attrarre disoccupati e nazionalisti delusi, sottraendoli al regime senza scontri frontali. Era questa la “Political Mirroring” in azione: imitare l’avversario per rubargli il pubblico, confondere la narrazione e trasformare i suoi punti di forza in debolezze.
La PCI la applicò con maestria durante la Resistenza e il dopoguerra. Nei fronti popolari del 1935, i comunisti “specchiarono” i socialisti e i cattolici: Togliatti parafrasò la retorica democristiana sulla “giustizia sociale” per attrarre i moderati, creando confusione e sottraendo voti alla DC senza attacchi diretti. Era la stessa tecnica usata contro il PSI: patti di “unità d’azione” che mimavano l’unità socialista per infiltrarla e dominarla, culminati nella scissione di Livorno e nel “socialcomunismo” accusato di essere un “clone” per conquistare il potere. Berlinguer, negli anni ’70, la evolse nella “solidarietà nazionale”: il PCI si presentò come “specchio” della DC, condividendo governi per “sottrarre consensi dall’interno”, ma senza mai abbandonare l’obiettivo di neutralizzarla – un mirroring che, secondo Macaluso, era “l’essenza del compromesso storico”, un’imitazione strategica per confondere elettori e ridicolizzare Moro come “burattinaio di se stesso”.

Oggi, con Salis, il copione si ripete: il centrosinistra, erede del PCI (il PD ne è il diretto discendente), clona Meloni per “batterla imitandola”. Non è casuale che il padre di Salis, Eugenio, fosse iscritto al PCI storico. È il DNA comunista, una manipolazione che funziona perché radicata nel bias cognitivo, come l’Halo Effect inverso, dove la somiglianza trasferisce prestigio o difetti. Gli psicologi lo sanno: il cervello umano associa per similitudine, e i comunisti lo hanno sempre saputo meglio di tutti. Nel caso Salis-Meloni, la Doppelgänger Politics è  in piena azione, e la domanda da farsi e da fare è chi è l’originale, e chi il riflesso studiato per ingannare?