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Dall’obiettivo al web: il rispetto negato alle fotografie digitali e a chi le crea

Con l’avvento della digitalizzazione, a volte si pensa che la fotografia sia una cosa banale, senza valore. Addirittura l’immagine digitale viene considerata come non degna di essere protetta dalle leggi sull’autore, solo perché “l’hai pubblicata chissà dove”.
Invece non è così, perché anche una fotografia digitale richiede impegno, tempo e risorse: tu magari hai investito nell’attrezzatura, hai pagato per ottenere permessi per fotografare in certi luoghi. La fotografia è una cosa seria, perché una foto può raccontare tantissimo. Non a caso si dice “una foto vale mille parole”: un’immagine riesce a comunicare in un istante ciò che richiederebbe molto più tempo per essere spiegato a parole. Gli studi dimostrano che il cervello umano elabora le immagini 60.000 volte più rapidamente del testo; per questo un singolo scatto può raccontare una storia intera. Ma quello scatto lo ha fatto sempre qualcuno, e non sai mai cosa ha dovuto fare o sopportare per ottenerlo.

Spesso vediamo persone che prendono foto da altri siti e le caricano sui propri senza nemmeno citare la fonte. Quando qualcuno dice “ho scaricato la foto da Google”, commette un errore di concetto. Google non è un archivio di foto, né un server che ospita immagini: Google è solo un motore di ricerca, ti fa vedere dove si trova quella foto. Tant’è che ti avvisa: “le immagini potrebbero essere coperte da copyright”. Ed eccoci al punto che ci interessa: il copyright delle foto digitali.

Il fatto che qualcuno non metta il watermark sulle sue foto non significa che chi le scarica, o chi deve giudicare un eventuale illecito nel loro utilizzo, possa ignorare il tag della foto. I tag digitali sono informazioni aggiuntive (metadati) associate automaticamente o manualmente a un file per descriverlo, identificarlo o gestirlo. Sono fondamentali nel mondo digitale perché permettono ai sistemi di capire e organizzare i contenuti, ma sono essenziali anche per i fotografi, in un’epoca in cui l’abitudine di rubare foto è diventata una prassi.

Ma oltre alla parte tecnica e legale, c’è un aspetto che pochi considerano: la rabbia. Perché sì, vedere il proprio lavoro usato senza permesso, senza rispetto e senza nemmeno una citazione… fa davvero arrabbiare. Fa arrabiare perché dietro una foto non c’è solo un clic: c’è una storia, c’è una presenza fisica, c’è un rischio preso, c’è una serata di pioggia o freddo passata in strada, c’è un’attesa di ore, c’è una corsa per arrivare prima che l’occasione svanisca. C’è la schiena che ti fa male per aver portato chili di attrezzatura. C’è il tempo sottratto alla famiglia, al riposo, alla vita normale.

E poi un giorno ti svegli, apri un sito o un social e vedi il tuo lavoro — proprio quel lavoro nato dal tuo sacrificio — usato da altri come se fosse niente, come se fosse gratis, come se fosse di tutti, come se tu non esistessi e la sensazione che ti scava dentro è fatta di tanta rabbia e frustrazione, perché è una mancanza di rispetto verso ciò che tu hai fatto e creato. Una foto, per chi la scatta, rimane sempre un pezzo della propria vita e quando te la portano via con quella nonchalance del “l’ho trovata su Google”, non ti sta rubando solo un file: sta rubando una parte di te, del tuo tempo e di quello che sei.

Ci si può imbattere in quel giudice per il quale i diritti sulle foto contano “fino a un certo punto”, e l’uso illecito diventa solo “colposo”, senza andare fino in fondo a vedere la motivazione dell’illecito, senza considerare che spesso si tratta di dolo, cioè di un’azione intenzionale. Perché ha scaricato e usato proprio quella foto e non un’altra, visto che il personaggio o la scena erano già stati fotografati molte altre volte?

Ecco perché i diritti di chi realizza queste fotografie vanno sempre rispettati. Ogni scatto racchiude impegno, tempo e passione, e va considerato nel contesto del suo utilizzo e con attenzione all’intenzionalità di chi lo sfrutta. Ignorare questo significa, da parte di chi deve far valere il tuo lavoro, non riconoscere il valore reale di una foto, trasformandola solo in un semplice file digitale e non in un pezzo della vita di chi l’ha creata. Chi è chiamato a tutelare i diritti d’autore deve, senza eccezione, valutare non solo la legge e la tecnica, ma anche il rispetto dovuto a chi mette cuore, vita e lavoro dietro ogni immagine. Chi lo fa andrà sicuramente fino in fondo per garantire il rispetto del lavoro altrui.

Nella foto, il maestro della fotografia Marco Isola…