Un accordo miliardario, un codice segreto e un silenzio pagato. Così Israele, con la complicità di Google e Amazon, avrebbe costruito un sistema per segnalare — con bonifici “in codice” — ogni volta che dati sensibili venivano consegnati a governi stranieri e in questo elenco compare anche l’Italia. Secondo un’inchiesta pubblicata dal Guardian insieme a +972 Magazine e Local Call, il progetto Nimbus — il mega-contratto cloud firmato da Israele con Amazon Web Services e Google Cloud Platform — include un meccanismo cifrato di notifica: ogni volta che un Paese ottiene informazioni riservate, Israele viene “avvisato” con un pagamento simbolico. La cifra? Il prefisso telefonico del Paese, moltiplicato per 100. Per gli Stati Uniti: 1.000 shekel. Per l’Italia: 3.900 shekel. Un bonifico che vale come un cenno d’intesa, un “occhiolino” digitale tra le parti.
Se l’operazione di consegna dati è coperta da segreto assoluto — cioè quando lo Stato straniero impone il silenzio totale — la tariffa sale a 100.000 shekel, da versare entro 24 ore, praticamente un linguaggio cifrato che sostituisce le parole: il denaro come codice di sorveglianza.
Un cloud sovrano o un grande occhio digitale?
Il contratto Nimbus, stimato intorno a 1,2 miliardi di dollari, serve a spostare l’intera infrastruttura digitale del governo israeliano sui server di Google e Amazon, garantendo però allo Stato pieno controllo sui dati, anche in caso di conflitto o controversia legale. Le aziende non possono sospendere i servizi, né rifiutarsi di fornire assistenza. Tradotto: anche se domani il mondo intero chiedesse lo stop, Israele resterebbe online. E sorveglierebbe.
L’aspetto più inquietante è che questo meccanismo di “avviso segreto” include l’Italia e potenzialmente anche gli altri Paesi europei in una rete di notifiche che nessun cittadino, giornalista o istituzione ha mai autorizzato. Se davvero esiste questo “codice dei pagamenti”, significa che ogni volta che l’Italia accede a dati gestiti nei server israeliani di Google o Amazon, Israele lo sa. E viene pagato per saperlo.
Siamo di fronte a un doppio paradosso: le stesse aziende che parlano di privacy, trasparenza e tutela dei dati hanno accettato di codificare nel denaro un segnale di spionaggio; e l’Europa, Italia compresa, rischia di farne parte senza nemmeno rendersene conto. La domanda è molto semplice: chi garantisce oggi che le nostre comunicazioni, i nostri archivi digitali e le nostre banche dati pubbliche non transitino in questa rete invisibile? Chi ha autorizzato un sistema che permette ad Israhell, paese straniero di sapere, in tempo reale, quando un altro Stato accede a informazioni coperte da segreto giudiziario?
Se il codice +39 è davvero parte di questo schema, il nostro Paese non può fingere di non vedere, quindi serve un’inchiesta parlamentare, serve che il Garante Privacy europeo e italiano chiedano conto di ogni riga di quel contratto, perché quando la sovranità dei dati diventa una moneta, la libertà d’informazione e la privacy dei cittadini diventano merce di scambio.
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