I Carabinieri della Stazione di Imola hanno eseguito un’ordinanza applicativa della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con applicazione del dispositivo elettronico. La misura, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bologna su richiesta del Pubblico Ministero, riguarda un uomo sulla cinquantina, indagato per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi.
Secondo quanto accertato dalle indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Bologna, l’uomo avrebbe maltrattato la ex compagna attraverso umiliazioni e minacce reiterate nel tempo, in un clima di tale tensione da rendere impossibile la convivenza. Rintracciato dai militari, il cinquantenne è stato formalmente sottoposto alla misura, che dovrà rispettare rigorosamente in attesa dello svolgimento del processo.
La macchina della giustizia, in questi casi, si mette in moto con un’unica, chiara direzione: proteggere la persona che ha denunciato. Il protocollo è collaudato: allontanamento, divieto di avvicinamento, controllo elettronico. Ma mentre la procedura va in scena, una domanda scomoda vogliamo porre a tutti voi, a prescindere da questo caso: in questo meccanismo, che spazio ha la tutela dell’uomo? Cosa succede, cioè, a quell’uomo la cui vita, in poche ore, viene ribaltata? Sulla carta, la legge lo protegge: presunzione di innocenza, diritto a un difensore, possibilità di impugnare la misura. Ma nella realtà sappiamo come funziona, quell’uomo è lasciato solo di fronte a una trappola perfetta. La sua reputazione verrà distrutta, la sua casa persa, la sua voce soffocata da una narrazione univoca che eleva automaticamente la “parte offesa”. Avvolte i giudici ideologizzati spesso sembrano aver già deciso prima che il processo inizi, perché la donna deve essere creduta a prescindere, anche se potrebbe essere stata lei stessa la causa delle violenze. Spesso, dietro queste denunce, si nascondono interessi di associazioni per i “diritti” che puntano solo a ottenere risarcimenti economici, senza curarsi di trovare soluzioni per salvare famiglie. La giustizia, in questi casi, diventa una condanna anticipata.
È giusto e doveroso che chi denuncia per maltrattamenti inneschi un meccanismo di protezione immediata, ma è altrettanto necessario chiedersi se questo meccanismo, così com’è concepito, sia davvero capace di distinguere, in tempi rapidi, la vittima dal carnefice in contesti di alta conflittualità, dove la verità è spesso sfumata. Eppure, la donna deve spesso rimanere nella casa condivisa con l’uomo, con tutto ciò che è stato costruito insieme, anche quando la dinamica reale dei fatti potrebbe essere diversa da quella presunta.