“Nulla è peggio del fascismo degli antifascisti.” (Pier Paolo Pasolini)
“Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è.” (Leonardo Sciascia)
Questi due incisivi aforismi ci offrono una chiave di lettura essenziale per decifrare l’inquietante retorica che si cela dietro slogan come “Chi ha paura della pastasciutta antifascista?”.
Quel “Chi ha paura…” che sembra una battuta spensierata, nasconde in realtà un meccanismo di esclusione tipico di chi, travestito da paladino dell’antifascismo, usa il termine come clava per cancellare il dissenso e marchiare come nemico chi non si allinea al pensiero dominante.
Oggi, più che i fascisti di un tempo, a minacciare la libertà di parola e di pensiero sono proprio quei “antifascisti” che, come avvertiva Sciascia, si dedicano a indicare fascisti immaginari ad ogni angolo, terrorizzando il dibattito pubblico e creando un clima di censura preventiva.
L’evento della pastasciutta antifascista, con il suo slogan provocatorio, si inserisce esattamente in questo contesto: un invito velato a non dissentire, una trappola linguistica in cui chi non si unisce alla tavolata diventa automaticamente un sospetto, un “paurone” o addirittura un nemico della democrazia.
Il cibo, che dovrebbe essere simbolo di condivisione e inclusione, si trasforma in uno strumento di divisione, un test ideologico che esclude chi non si piega a una visione rigidamente polarizzata della storia e della società.
Questa è la vera minaccia: non il fascismo storico, ma il fascismo mascherato da antifascismo, che soffoca il dissenso, banalizza la memoria e trasforma la convivenza civile in un campo di battaglia e dietro questo gioco di parole e simboli, non manca la componente più prosaica e meno nobile: spesso queste iniziative si fanno con grandi cavolate, pardon tavolate per quattro spiccioli. Organizzare questi tipi di eventi con “musica, cibo e talk” è un modo di giocare sulla memoria collettiva e sui sentimenti di appartenenza. Nulla di male, se non fosse che in questi casi la memoria storica rischia di diventare merce di scambio, mentre la retorica “Chi ha paura…” diventa uno strumento per zittire il dissenso e assicurare che nessuno metta in discussione la loro narrazione ufficiale.
Chi ha paura della pastasciutta antifascista? Forse dovremmo chiederci piuttosto chi ha paura della libertà di pensiero e del pluralismo.