Il Comune di Imola ha festeggiato con grande enfasi quello che ha definito un “riconoscimento” da parte della Regione Emilia-Romagna per il progetto Hub del centro storico. Una notizia presentata come un traguardo esclusivo, quasi un premio per meriti particolari e una visione strategica all’avanguardia targata giunta Panieri.
Peccato che la realtà sia ben diversa. Non c’è stato alcun bando competitivo, nessuna graduatoria, nessuna selezione tra progetti. In pratica, chi ha presentato la domanda nei tempi giusti e con la documentazione completa ha ottenuto quel “riconoscimento”. Punto. Si tratta, infatti, di una semplice validazione tecnica automatica, frutto di una procedura aperta a tutti i Comuni della Regione che hanno deciso di aderire. Niente premi, niente podi, nessuna medaglia. Bastava compilare un modulo e rispettare alcuni requisiti minimi. (Per chi volesse approfondire, ecco il link ufficiale: hub urbani e di prossimità Emilia-Romagna)
Eppure, il sindaco Marco Panieri e l’assessore Pierangelo Raffini parlano di “riconoscimento” come se fosse un titolo conquistato con merito superiore. Una narrazione che rischia di confondere i cittadini, trasformando un atto burocratico in un successo politico. Siamo ormai abituati a questa retorica: annunci di Panieri o della sua giunta che gonfiano la normalità amministrativa spacciandola per straordinarietà. Qui però si supera il limite. Si chiama “riconoscimento” un automatismo, si promette “rigenerazione urbana” senza però dire chiaramente cosa comporta il progetto né quanto costerà davvero ai cittadini e che cosa c’è dietro davvero. Il 28 luglio è previsto un incontro con i commercianti per illustrare l’Hub. Sarà l’occasione giusta per passare dalla propaganda alla trasparenza: spiegare chi decide cosa, quali fondi vengono spesi, quali effetti concreti si aspettano sull’economia del centro storico e – soprattutto – chi ci guadagna veramente.
Ma c’è di più. Dietro l’apparente innovazione degli “hub urbani” si nasconde un progetto ben più ampio e controverso: la cosiddetta “Città dei 15 minuti”. Nata a Parigi e diffusa a livello globale, questa idea punta a far sì che ogni cittadino possa raggiungere a piedi o in bici i servizi essenziali entro un quarto d’ora. L’obiettivo? “Migliorare la qualità della vita e ridurre l’inquinamento.” Ma dietro le buone intenzioni si celano forti critiche. Nel Regno Unito, per esempio, il progetto ha provocato proteste perché limita la libertà di movimento, imponendo permessi per uscire e entrare dai quartieri in auto e multe salate per chi trasgredisce. Anche a Roma la questione ha acceso gli animi con la creazione di vaste zone verdi “protette” da varchi elettronici. La “Città dei 15 minuti” è un sistema che, al di là della retorica ecologista, ricorda modelli autoritari: la libertà di movimento viene gradualmente limitata, fino a rendere necessario un permesso, un lasciapassare, per entrare o uscire da certe zone. Altro che sostenibilità: è un controllo sociale travestito da innovazione urbana.
Non è un caso se Panieri fu tra i primi a invocare il “passaporto vaccinale” sul territorio – ben prima che si parlasse ufficialmente di Green Pazz’, quel “lasciapassare” che ha finito per discriminare i cittadini in base allo status vaccinale, escludendoli da teatri, concerti, bar, scuole e trasporti pubblici https://tuttoimola.it/2021/03/16/i-sindaci-del-circondario-vogliono-il-passaporto-vaccinale-sul-territorio/
Oggi, la sua giunta PD abbraccia convintamente un’altra visione controversa: quella degli cosiddetti hub urbani, che si inseriscono a pieno titolo nel più ampio piano dell’Agenda 2030, dove ritroviamo concetti come “Città dei 15 minuti”, centralizzazione dei servizi, restrizioni alla mobilità, regolamentazione delle attività commerciali e, in prospettiva, nuove forme di controllo sociale mascherate da progresso sostenibile.
Un piccolo segreto – che tanto segreto non è: fino a quando non glielo abbiamo chiesto sott’Orologio in presenza del ex addetto stampa del Comune di Imola Vinicio dall’Ara , l’assessore Raffini non sapeva nemmeno cosa fosse l’Agenda 2030. Eppure, lui e il sindaco portano avanti progetti che ne incarnano perfettamente la logica, salvo poi presentarli come premi, “riconoscimenti”, esempi di “innovazione” o “sostenibilità”. Parole d’ordine vuote, ripetute come mantra, dietro cui si cela ben altro: una visione tecnocratica, distante dai bisogni reali dei cittadini e dalle priorità di una città come Imola.