Un report City Vision proclama Imola come la terza città più vivibile d’Italia, dietro a Credera Rubbiano e Cordovado. Ma c’è un problema: non c’è nulla di dimostrabile in questa classifica.
Lo studio è stato realizzato da due realtà private. Non si sa quali indicatori siano stati utilizzati né con quali criteri siano stati selezionati i comuni. E qui è chiaro che siamo di fronte a un’operazione di marketing, non a un’analisi oggettiva.
Nella classifica dominano piccoli borghi con meno di 3.000 abitanti. Poi, all’improvviso, spunta Imola con i suoi 69.000 residenti. Perché? Su quale base si afferma che la qualità della vita a Imola sia migliore rispetto a centri più grandi e attrezzati? E perché Milano è al 100° posto se ha servizi, trasporti e opportunità di gran lunga superiori?
Chi vive ogni giorno nelle città sa bene come stanno le cose. Una classifica che ignora la difficoltà di trovare lavoro, i cari affitti e quasi inesistenti, il degrado urbano in seguito alla tassa “puntuale”, con piste ciclabili considerate tali solo perché c’è un simbolo disegnato della bicicletta, come in via Lasie. Nel centro storico, un tempo cuore pulsante della città, oggi regna il deserto, da manifestazioni di parte e ideologizzate. I negozi sono per lo più sfitti e quelli che restano faticano a sopravvivere. La gente di Imola spesso definisce il centro “un mortorio”.
E come se non bastasse, la sicurezza è quasi inesistente, affidata a dei “street tuttor”, figure di sicurezza inventate dal PD..Proprio ieri, una pizzeria si lamentava su un gruppo facebook che le era stato sottratto il telefono con cui prendeva gli ordini. Questo è il vero volto di Imola, non quello idealizzato dalla classifica.
Parlare di un “ambiente sano” in una città che sembra quasi abbandonata a se stessa è fuori dalla realtà. Se questa ricerca fosse stata seria, avrebbe ascoltato i cittadini, non le giunte che si affidano alle aziende di comunicazione in cerca di lodi. Basta fare un giro nei commenti lasciati dalla gente sotto gli articoli su questa trovata per vedere di che cosa parliamo, a noi ci ricorda un po’ il festival di pubblica “utilità” e chi ci ha seguito sa di che cosa parliamo.