La storia di Brittney Pearson, una surrogata che ha vissuto un’esperienza tragica e sconvolgente, mette in luce le problematiche etiche sulla surrogazione. Brittney, animata dal desiderio di aiutare una coppia di uomini a realizzare il loro sogno di formare una “famiglia”, si è trovata coinvolta in una situazione che ha portato alla morte prematura del bambino che portava in grembo.
Brittney ha ricevuto una diagnosi di cancro al seno durante la gravidanza. Nonostante la sua malattia, ha deciso di portare avanti la gravidanza e ha optato per un parto prematuro a 25 settimane. Questa decisione le avrebbe permesso di iniziare il trattamento chemioterapico e, allo stesso tempo, offriva al bambino una possibilità di sopravvivenza.
Ma, la coppia acquirente non era disposta a pagare per un bambino nato prima delle 38 settimane, temendo possibili problemi di salute legati alla prematurità. Hanno esiguto che il bambino venisse “terminato” immediatamente. Brittney, fortemente contraria a questa richiesta, si è trovata minacciata di azioni legali.
In un atto di disperata generosità, Brittney ha offerto di adottare il bambino. Ma la coppia acquirente ha rifiutato, richiedendo invece un certificato di morte. Questo gesto ha negato al bambino ogni possibilità di vivere una vita piena e dignitosa.
Sebbene sembri che Brittney abbia cercato di proteggere questo bambino nel grembo materno, la sua partecipazione alla surrogazione ha svolto un ruolo parziale nella morte finale di questo piccolo ragazzo. Dal momento del concepimento, gli sono stati negati i suoi diritti fondamentali ed è stato trattato come un prodotto che poteva essere scartato al primo segno di difetto.