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Vi ricordate il famoso spot con protagonista Gandhi, che ha caratterizzato la campagna del 2004 di Telecom Italia? Vi ricordate la domanda finale dello spot? Parliamo di uno spot realizzato quasi vent’anni fa, quasi in concomitanza della nascita del social network Facebook, creato da CIA, pardon, da Zuckerberg.
Erano gli anni dell’inizio della forzata globalizzazione a discapito degli Stati e dei loro popoli delle loro libertà e proprietà. Eravamo passati dai “giochi senza frontiere” alle invasioni proprie e vere delle frontiere. I cellulari erano ancora più o meno a forma di mattone, senza la possibilità di geolocalizzare con la precisione degli attuali “smartphone”. Li hanno chiamati “smart” perché era brutto dire “spie”, oggetti di continuo tracciamento e sorveglianza. La domanda era “Se avesse potuto comunicare così, oggi che mondo sarebbe?”. Ecco che oggi, a meno di un anno dal ventesimo anniversario dello spot, possiamo dire che il mondo sarebbe uguale o forse anche peggio, e Gandhi, denominato “padre della nazione” indiana, sarebbe stato sicuramente censurato o addirittura arrestato per il cosiddetto “hate speech”.
Lo spot di Telecom Italia è stato costruito sul messaggio di Gandhi, basato su principi di nonviolenza, resistenza pacifica, uguaglianza e giustizia sociale. Gandhi sosteneva l’importanza di combattere l’oppressione e l’ingiustizia attraverso mezzi non violenti, promuovendo la compassione, la tolleranza e l’amore per il prossimo. Il suo obiettivo era ottenere l’indipendenza dell’India dal dominio britannico, ma il suo messaggio andava oltre, incoraggiando le persone a perseguire la vera pace, la verità al posto delle mezze verità e la dignità umana in tutte le sfere della vita.
Se Gandhi fosse vissuto nell’era delle grandi piattaforme digitali e della censura online, avrebbe avuto delle grandi difficolta nel propagare i suoi messaggi. Il padre della nonviolenza e dell’uguaglianza sarebbe stato messo al bando dai signori del web e delle guerre. Le sue parole di pace e compassione sarebbero state considerate troppo pericolose per il mondo, i suoi principi di resistenza pacifica e giustizia sociale avrebbero scatenato l’ira delle piattaforme social. YouTube avrebbe demonetizzato i suoi video, Facebook li avrebbe relegati nell’oblio del news feed e su Google sarebbe scomparso dalla faccia della Terra digitale.
Nonostante la maggiore capacità di comunicazione rispetto al 2004, il mondo in cui viviamo si è trasformato in un inferno virtuale in cui la libertà di espressione viene oppressa dal peso degli algoritmi, dei “like” e dei “retweet”. La compassione è stata sostituita dall’indifferenza e la tolleranza è stata scambiata per debolezza, annegata nel mare delle opinioni polarizzate. È un mondo in cui persino il “padre della nazione” indiana sarebbe stato accusato di “hate speech” e confinato nelle oscurità della censura online.
Quindi, prendiamoci un momento per riflettere sul paradosso della nostra epoca: un mondo in cui Gandhi, il simbolo stesso della lotta pacifica per la libertà e la dignità umana, sarebbe stato bandito dai luoghi virtuali in cui la sua voce avrebbe potuto risuonare più forte che mai. Forse, in mezzo a questa ironia, dobbiamo porci delle domande: che tipo di mondo stiamo costruendo? Qual è l’importanza che abbiamo attribuito alla libertà, alla libertà di espressione, al confronto delle idee e alla libertà di decidere sul nostro corpo, alla luce di ciò che abbiamo vissuto negli ultimi tre anni? La storia ci ha insegnato molto, ma sembra che dobbiamo ancora imparare a essere veramente liberi e ad uscire da questo vasto recinto digitale che abbiamo creato, il quale ci impedisce di unirci e comunicare in modo autentico.