In una città come Imola, i banchetti rappresentano il mezzo ideale per la pubblicità politica, consentendo un’interazione diretta con i rappresentanti dei partiti, delle liste “civiche” e di varie associazioni, offrendo così l’opportunità di conoscere le idee che promuovono.
Le sorelle Cappello: Candidature, bretelle e associazioni
Questa mattina, abbiamo notato tra i banchetti politici quello delle sorelle Cappello e della loro lista “civica”, scusate associazione. È passato un po’ di tempo da quando Carmela, detta Carmen o viceversa, si era candidata e ricandidata per diventare il sindaco della città e finalmente completare quella bretella che termina contro un muro. Nel frattempo, anche “Italia Viva” è scomparsa, non si capiva se la sorella Gio’ fosse o non fosse coordinatrice a livello locale, né se fosse uscita o sia stata cacciata con un sms. Ora le sorelle, con la bretella e i patti di Ardakan di Panieri alle spalle, si sono unite all’associazione “Luca Coscioni” che ha come slogan la frase che ricorda molto la neolingua di Orwell: “Per la vita dei diritti”. Eh sì, adesso sono per la “vita dei diritti”. Nel mese di marzo, almeno una di loro si era manifestata pubblicamente contraria al diritto e la libertà di proiezione del documentario “Invisibili” al centro sociale “La Stalla”. Parlando con gli ex consiglieri della lista civica, abbiamo capito che non si trattava di vita, ma di un certo fine di vita. In pratica, le due sorelle stavano raccogliendo firme per la proposta di legge regionale “Liberi subito” dell’associazione Luca Coscioni, che mira a regolamentare in Emilia-Romagna l’assistenza medica alla morte volontaria. A Marcella Vela, brava ex consigliera di opposizione, abbiamo espresso il dubbio che in futuro questa proposta possa rimanere soltanto su base volontaria, visto quello che abbiamo appena vissuto, un periodo in cui le persone sono state ricattate, sempre sotto il pretesto dei diritti, per accettare certe iniezioni. In realtà il termine “fine di vita” è un eufemismo per indicare pratiche come il suicidio assistito e l’eutanasia. A differenza di Luca Coscioni, che ha scelto di morire soffocato perché non voleva subire una tracheotomia, chi sosterrà queste politiche non è escluso che, in futuro, sempre con la scusa dei buoni propositi, verrà invitato a togliersi o a togliere la vita a qualcuno perché malato, anziano o con qualche difetto non conforme all’andamento progressista o alle politiche sanitarie del regime di turno in carica.
Riflessioni sul concetto di “fine di vita”: Eutanasia, suicidio assistito e le loro implicazioni – Goethe diceva “quelli che non sperano in un’altra vita sono morti perfino in questa”
Il dottor Kenneth Ring, professore di psicologia presso l’Università del Connecticut, è stato il primo a condurre una ricerca scientifica approfondita sulle esperienze empiriche vissute in prossimità della morte. Basandosi sulle relazioni di 102 persone riguardanti le loro esperienze in agonia, tra cui 52 pazienti malati, 26 vittime di incidenti e 24 con tentativi di suicidio, egli riassume le diverse fasi della transizione verso l'”Aldilà”, che includono: una sensazione spesso estatica di benessere, la separazione del corpo, la percezione di una o più presenze, una rapida e chiara retrospettiva visiva della vita vissuta fino a quel momento, seguita poi dal “ritorno” o reintegrazione nel corpo fisico, talvolta attraverso la testa, altre volte attraverso l’ombelico o il petto. È comunque certo che le vittime di incidenti vivano in modo più intenso l’esperienza del bilancio della vita, mentre per i suicidi “non esistono né tunnel, né una luce brillante, né presenze benefiche, né l’ingresso in un mondo trascendente di una bellezza soprannaturale, ma solo la percezione di un mondo oscuro, ostile, un mondo di incubi”. La conclusione è evidente e appartiene a tutte le religioni: il suicidio, sia assistito o meno, è un immenso errore; non mette fine alla sofferenza, ma aumenta l’agonia e la disperazione dopo l’atto criminoso.
Complicazioni nel suicidio assistito: Rischi, fallimenti e le sfide legate all’anestesia
Uno studio, pubblicato nel mese di febbraio 2019 sulla rivista Anaesthesia, ha evidenziato le complicazioni che si verificano nei casi di suicidio assistito. Ai pazienti sono stati spesso somministrati barbiturici per sedarli fino alla perdita di coscienza e provocare l’arresto del cuore e dei polmoni. Secondo lo studio, il 9% dei pazienti ha avuto difficoltà a deglutire l’intera dose di farmaci, mentre il 10% ha avuto episodi di vomito. Il fallimento nella somministrazione completa di sedativi ha portato alla situazione in cui il paziente era perfettamente cosciente ma incapace di reagire quando gli è stata iniettata la sostanza letale, e prima di morire soffriva e percepiva come gli organi si indeboliscono. Lo studio ha indicato che l’1,3% dei pazienti nei Paesi Bassi era perfettamente cosciente al momento dell’iniezione letale, alcuni si sono addirittura alzati in piedi, il che indica che il rischio di fallimento dell’anestesia totale nel caso del suicidio assistito è 190 volte più alto rispetto agli interventi chirurgici.
È evidente che gli autori dello studio non erano contrari al suicidio assistito, ma desideravano solo migliorare le procedure. Per eliminare i rischi menzionati, gli autori dello studio hanno suggerito di effettuare ulteriori test sui pazienti sedati, come il monitoraggio dell’attività cerebrale o l’uso di sostanze letali con un’azione molto più rapida. Anche se questo non era lo scopo iniziale dello studio, le conclusioni hanno indicato che l’eutanasia o il suicidio assistito non significano sempre una morte senza dolore, così come affermano coloro che sostengono queste “soluzioni”, ma ci sono molti casi di “errori medici” in cui i pazienti sono costretti a subire intense sofferenze prima di morire.