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Con un comunicato le associazioni “Valori e Vita, Giuristi per la Vita, Genitori Attenti, Fraternita laica Domenicana Imola, Scienza e Vita Imola, annunciano che hanno sottoscritto un documento congiunto definito “dieci linee guida, sul perché non debba passare il pericoloso e liberticida DDL Zan Scalfarotto attualmente in esame al Parlamento”.
Nel comunicato si legge che: “Certamente il punto nodale è il rischio elevato che siffatto decreto così come strutturato possa andare a compromettere nel concreto la libertà di espressione, di opinione e anche di giudizio di chiunque in ogni ambito.
Sarebbe ad esempio sanzionabile la condotta di docenti che si opponessero a corsi di educazione sul gender nelle scuole adducendo ragioni contrarie ai diktat, studenti o genitori che si opponessero alla salita in cattedra di Drag Queen (anche questo già accaduto) per tenere lezioni. Portando al paradosso (nel ristretto ambito ecclesiastico) che sarebbe sanzionabile il rettore di un seminario, ovvero un parroco, ove ritenesse di non affidare incarichi a determinati sacerdoti, o membri di una comunità pastorale, in quanto dichiaratamente omosessuali e quindi (eventualmente) ritenuti non adeguati a ricoprire certe mansioni educative o di ruolo, magari verso i giovani della comunità.
Oltre ad altri aspetti critici per i quali si rimanda al documento integrale suddetto. Diciamo SI’ alla piena tutela della persona, di ogni persona, in quanto tale; NO a un ddl ideologico, giuridicamente inutile e liberticida. ”
Ecco le dieci linee guida, sul “perché non debba passare il pericoloso e liberticida DDL Zan Scalfarotto attualmente in esame al Parlamento”, contenute nel documento firmato dalle cinque associazioni:
1) è un disegno di legge che si pone in prospettiva ideologica, ed assoluta inutilità sul piano legale posto che le persone che si intendono tutelare, in quanto persone godono già di tutte le tutele giuridiche previste
dal codice penale.
2) L’Italia non è un paese omofobo, come dimostrano i dati ufficiali rilasciati dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad): dal 2010 al 2018, 197 sono i casi di discriminazioni per orientamento sessuale, e 15 per ragioni legate ad identità di genere, con una media di 26,5 casi all’anno comprese denunce rivelatesi infondate.
Secondo l’istituto americano Pew Research Center di Washington (studio “The Global Divide on Homosexuality”), l’Italia si colloca nella top ten delle nazioni più gay friendly a livello mondiale, con il 74 % del popolo che si dichiara non ostile all’omosessualità. Un gradino sotto la Gran Bretagna (76 %) e alla laicissima francia (77%). Basti notare che nella “omofoba” Italia, abbiamo avuto due regioni (del mezzogiorno addirittura) governate da presidenti dichiaratamente ed ostentatamente con tendenze omosessuali. Se questa è “intolleranza” e “omofobia” …
3) Le norme non definiscono specificamente i concetti di “discriminazione” lasciando ampia facoltà e discrezionalità al giudice nel determinarla, in ambiti assai variegati. Sarebbe dunque sanzionabile il rettore di un seminario, ovvero un parroco, ove ritenesse di non affidare incarichi a determinati sacerdoti, o membri di una comunità pastorale, in quanto dichiaratamente omosessuali e quindi ritenuti non adeguati a certe mansioni ? Secondo l’art. 604 bis lett. a del codice penale probabilmente sì.
4) Incerto altresì il confine tra istigazione alla discriminazione e alla violenza. Il mondo “gay militante” considera discriminatoria ogni manifestazione del pensiero che inviti a differenziare in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere. L’esperienza dei reati d’odio (hate crime) tipici dei paesi anglosassoni mostra come sia acquisita a livello legale l’equazione discriminazione-odio = violenza. In tal caso, nel testo di legge si prevedono pene preclusive sino a 4 anni.
5) laddove la pubblica accusa, sulla base di una denuncia, dovvesse ravvisare che una comunità religiosa ha tra i propri scopi anche quello dell’incitamento alla discriminazione per motivi fondati sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, il reato ipotizzabile sarebbe quello di partecipazione ad un’associazione vietata dall’art. 604 bis del codice penale. In questo caso, occorre ricordare, che il semplice fedele sarebbe punito, per il
solo fatto della sua partecipazione alla chiesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, mentre tutti coloro che dirigono la comunità incorrerebbero, per ciò solo, nella pena della reclusione da uno a sei anni. Circostanza quest’ultima che, tra l’altro, renderebbe possibili persino le intercettazioni telefoniche e ambientali.
6) Un cenno critico va mosso anche alle gravissime misure accessorie (in qualche modo, quasi più inquietanti delle principali): il giudice può disporre obbligo di rientro all’abitazione entro certa ora, o di non uscire prima di altra ora; sospensione patente di guida e dei documenti di identificazione validi per l’espatrio; divieto di detenzione armi; divieto di partecipare ad attività di propaganda elettorale; obbligo di prestare attività non retribuita in favore della collettività per fini sociali presso organizzazioni a tutela di omosessuali e transessuali.
7) Possibilità di ricorso al gratuito patrocinio per le asserite vittime di omotransobia e la definizione di esse quali “perone in condizioni di vulnerabilità”. Tale circostanza consente dal punto di vista tecnico, che la deposizione delle vittime sia raccolta in incidente probatorio, segreto, con pesanti limitazioni al controesame da parte dell’avvocato dell’imputato. Alle stesse vittime sarebbe poi riconosciuto opporsi alla richiesta di archiviazione e nominare associazioni rappresentative: una sorta di processo speciale a danno degli imputati.
8) Lunga sarebbe poi la dissertazione sull’ambiguo e annoso concetto di “identità di genere” contenuto nel testo della norma. Un concetto oggetto di dibattiti e studi. Basti dire che, all’oggi, vi è in Italia un documento intitolato “linee guida per una comunicazione rispettosa delle persone lgbt” redatto dall’ente governativo Unar, che così definisce l’identità di genere: «É il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono uomo, io sono donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». Questa idea è alla base della cosiddetta ideologia gender, oggetto di non poche critiche che sarà alquanto difficile continuare a sollevare nel caso in cui venissero approvate le proposte di legge in esame.
9) Come corollario, preoccupa anche la previsione secondo cui l’UNAR possa elaborare, «con cadenza triennale una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discrimina- zioni per obiettivi e l’individuazione di misure relative all’educazione e istruzione, al lavoro, alla sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, alla co- municazione e ai media». Ciò significherebbe dare valore legale al documento dello stesso UNAR già elaborato nel 2013 proprio con il titolo di Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni, il quale si sarebbe dovuto arti- colare proprio secondo quattro “assi”: (I) Educazione e Istruzione, (II) Lavoro, (III) Sicurezza e Carcere, (IV) Comunicazione e Media. Mette conto evidenziare che per quanto riguarda, per esempio, il primo asse relativo all’educazione ed istruzione, il summensionato documento dell’UNAR prevedeva espressamente, tra l’altro, l’obiettivo strategico di «ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT», di «garantire un ambiente scola- stico sicuro e gay friendly», di «favorire l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni», nonché di «contribuire alla cono- scenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori per evitare discriminazioni nei confronti dei figli di genitori omosessuali»
10) Non va sottovalutato infine un ulteriore aspetto, quello definitivo come “affirmative action”, che possiamo così riassumere: nel momento in cui si riconosce che la categoria degli omosessuali e transessuali è stata ingiustamente discriminata al punto da meritare una privilegiata tutela giuridica, occorre rimediare agli effetti della discriminazione attraverso misure compensative, quali ad esempio quote riservate. È ciò che è successo con gli afroamericani negli USA. Gli obiettivi della affirmative action sono raggiunti, normalmente, attraverso quote riservate nelle assunzioni, nelle cariche istituzionali, nell’assegnazione di alloggi pubblici, nell’erogazione di servizi e così via. Già qualcuno comincia a parlare di “quote arcobaleno”, in analogia rispetto a quanto accaduto con le cosiddette “quote rosa” in materia di discriminazione femminile.