Di Massimo Bolognesi
In Emilia-Romagna esiste un sistema di controllo sociale mafioso differente dagli altri sistemi basati sulla violenza fisica, instaurato in altre regioni.
E’ il sistema basato sulla “paralegalità”, come mi piace definirlo: si fanno leggi e regolamenti, poi si creano enti e strutture deputate al loro controllo. Succeessivamente, queste strutture non vengono fatte lavorare a questo scopo, ma su altri versanti, vengono tenute in sordina. Pronte all’uso, ma mai in uso. Non sanzionano. Non reprimono. Non prevengono. Non fanno assolutamente nulla per applicare leggi e regolamenti nei confronti di cittadini e imprese.
A parte il codice della strada, che è scevro da interessi di parte, e che è molto utile a fare cassa indiscriminata, quasi tutto il resto è sostanzialmente privo di accertamenti e sanzioni.
Tanto gli Emiliano-Romagnoli hanno un medio profilo etico adeguatamente rispettoso delle norme, si potrebbe pensare. In media, forse, questo era vero una volta. L’abitudine e la disaffezione ai controlli, però, oltre al dilagare diseducativo del cattivo esempio del vicino di casa, con il tempo generano mostri.
Inizialmente pensavo soltanto a una mera questione di voti. Di consenso elettorale. Se sanzioni i cittadini quando sbagliano, poi alle elezioni non ti votano più o rischi, comunque, di ridurre il tuo consenso.
Con il tempo ho avuto modo di comprendere quanto fosse più subdolo e profondo questo lassismo diffuso nell’applicare le norme, questo degrado morale costante e progressivo in ogni settore.
Una volta il Presidente Regionale ERRANI, in un incontro con le associazioni ambientaliste (credo fosse la caccia l’argomento di quella specifica riunione), a fronte delle mie lamentazioni come Presidente Regionale del WWF, in merito alla mancata osservanza delle norme che produceva la stessa regione, pronunciò parole del tipo: “Noi preferiamo educare piuttosto che reprimere, perché vogliamo un cambiamento più profondo e culturale”.
La supercazzola era carina ma, ovviamente, non ho creduto a una sola parola.
Con il tempo ho capito che questo sistema di legiferare e non applicare era una delle basi fondanti del sistema mafioso emiliano-romagnolo.
Innanzitutto la mancanza di controlli su tutta la popolazione produce un’assuefazione all’illegalità nei cittadini, siglando moralmente un patto non scritto tra essi e gli amministratori: vivi e lascia vivere… non mi rompere le palle e io ti voto.
In secondo luogo, se l’amministratore sbaglia, con che coraggio e pudore sparerai a zero su di lui se mai ti ha sanzionato o “ripreso” per le tante volte che sai di avere sbagliato? Chi è senza peccato scagli la prima pietra nei confronti del politico che sbaglia… “è un peccatore, un caso isolato, volete proprio lapidarlo?, Su, in fondo, chi non sbaglia almeno una volta nella sua vita?”
Il sistema, però, portato alle estreme conseguenze, ha implicanze peggiori.
Nelle altre regioni con sistema mafioso meno evoluto, se fai uno sgarro al sistema, ti mandano due picciotti in motorino e ti gambizzano, se lo sgarbo è piccolo.
Se in Emilia-Romagna non fai parte integrante del sistema ti fanno sgarri sul lavoro, se lavori in una cooperativa trovano modo di fartela pagare, se lavori presso un’impresa che fa parte del sistema trovano modo di fartela pagare.
Se, poi, addirittura rompi veramente al sistema, è meglio che non abbia niente di tuo, di produttivo, di ricattabile o minimamente soggetto ai controlli o alle regole del sistema. E’ molto meglio, altrimenti il sistema ti manderà i picciotti a gambizzarti… questa volta non in scooter, ma su un’auto della polizia municipale, o dell’ufficio comunale, o dell’ASL, o dell’ARPA.
Sarà tutto legale…
Questo sistema è difficile da smantellare, perché non è totalmente illegale… è quasi legale, se non fosse per l’imparzialità mancata della pubblica amministrazione. E’ “paralegale”.
Il risultato è comunque profondo, pervicace e concreto: non ti conviene metterti contro il sistema o il sistema di isola o può anche affondarti.
Gambizzarti legalmente.
Sarà per questo controllo sociale garantito da questo patto che la rossa Emilia-Romagna è diventata terra di affari per i clan.
Non terra di conquista, badate bene, perché il potere è strettamente nelle mani della cupola del partito. Terra di affari per i clan, perché il partito garantisce ai vari clan che vogliono investire in regione, protezione e copertura.
Mentre le associazioni mafiose tendono a occupare “territori” in modo egemone (ad esempio, liguria e lombardia in mano alla ‘Ndrangheta, Provincia di Cosenza e Lazio in mano alla Camorra), in Emilia-Romagna sono presenti, invece, tutti quanti: Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Stidda, Mafia.
Il partito garantisce affari e coperture per tutti.
Leggendo il dossier di qualche anno fa della casa della Legalità, dell’ottimo Christian Abbondanza (che forse meriterebbe un aggiornamento, visti i recenti episodi di cronaca anche giudiziaria), si troveranno informazioni su ben 92 clan censiti come attivi sul territorio regionale.
Imola immune? E se la risposta ufficiale è sì, quale ne sarebbe la presunta motivazione? Un’altra supercazzola?
Imola non è immune. Punto e basta. Poletti a cena dai Casamonica non è la cosa peggiore di questo sistema.
Gli affari di AMI, HERA, Vanni BERTOZZI e Loris LORENZI in HERA Comm. Mediterranea Srl. con la famiglia COSENTINO (“O mmericano”, l’ex sottosegretario Nicola) e il Clan Russo a SPARANISE, in Provincia di CASERTA non sono la parte più importante del problema.
Leggete il libro “Gli impuniti” di Pamparana di qualche anno fa. Scoprirete un’interessante appendice in cui è riportato il rapporto del ROS dei Carabineri che Falcone e Borsellino avevano sulle rispettive scrivanie nei momenti in cui furono ammazzati. Troverete in esso il nome di una nota cooperativa imolese (ma non solo di quella) del settore costruzioni stradali ed edili che di recente è stata messa in liquidazione. Quella per la quale in tanti cittadini e politici imolesi si sono stracciati le vesti.
Un’impresa che, a dire delle indagini dei carabinieri, vinceva appalti in tutta ITALIA, in zone a forte controllo mafioso e in cui le imprese della mafia locale non potevano partecipare perché escluse dal mancato rilascio del certificato antimafia da parte della prefettura. La cooperativa imolese vinceva l’appalto, installava un gigantesco cartello di cantiere e, una volta recintato per bene il cantiere, quello che avveniva dentro era tutta un’altra storia. Forniture di materiale da cantiere e mezzi d’opera da parte delle imprese della mafia, pagamento del pizzo in quota del 3% alla mafia, forniture di cemento e ogni altra cosa necessaria, personale locale fornito dalla mafia. Praticamente una finanziaria per la gestione di appalti per conto terzi. Quando il “pagamento” non bastava, si portavano le ditte a lavorare al nord, in cantieri della stessa impresa.
Un sistema che il magistrato Ferdinando IMPOSIMATO, senatore del PDS, portò anche all’attenzione di PRODI quando volle presentare in anteprima all’allora presidente del Consiglio dei Ministri la sua relazione come presidente della Commissione Parlamentare Antimafia.
PRODI scappò dalla conversazione abbandonando improvvisamente il suo ufficio a palazzo Chigi. Lasciando nella stanza solo l’imbarazzato ex magistrato.
Il documento del relatore fu affossato non tanto dall’atteso voto contrario di Forza Italia, ma dal fuoco amico del PDS, capitanato da LATORRE, in qualità di braccio destro di D’ALEMA. Il partito dello stesso Imposimato.
Imposimato fu uno dei pochi magistrati che, quando era in servizio a Roma, assestò colpi pesanti alla banda della Magliana.
Il PDS successivamente, è ormai cronaca di questi mesi, è di fatto confluito in Forza Italia, con un intermezzo momentaneo e meramente transitorio con il simbolo interlocutorio del PD. Congiunti dagli affari stipulati nella “Terra di Mezzo”, dove il soldo non puzza, dove non esiste un’etica diversa da quella dell’arricchimento a spese del pubblico e anche sulla pelle della gente.